In aggiunta agli oltre 500 mila ebrei provenienti dagli Stati arabi che migrarono in Israele nel primo decennio dopo l’indipendenza, più di 120 mila sopravvissuti della Shoah presero la strada per il nuovo Stato. Anch’essi arrivarono praticamente senza alcun possedimento, con la speranza di vivere in un luogo nuovo al riparo dall’antisemitismo e dalle persecuzioni della Seconda Guerra Mondiale. Fu dunque necessario trovare un posto anche per loro nella giovane società che si era andata creando e che si stava ancora riprendendo da guerre e assedi.
Nel 1950 fu introdotta la cosiddetta Legge del Ritorno (in vigore ancora oggi), grazie a cui ogni ebreo di qualunque luogo del mondo poteva andare in Israele qualora lo avesse voluto, diventandone automaticamente cittadino. Grazie anche a questa legge i flussi migratori aumentarono da tutti quei paesi in cui gli ebrei vivevano: India, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti, Sud America, Sud Africa, Gran Bretagna e Europa Occidentale. Solo gli Stati comunisti tentarono di arginare l’emigrazione ebraica.
La vitalità di Israele era sorprendente e intensa. Tutti i suoi vicini – Libano, Siria, Giordania ed Egitto – continuavano ad opporsi fermamente alla sua esistenza; di conseguenza Israele sviluppò le relazioni con altri Stati più lontani, tra cui Francia, Stati Uniti ed anche Gran Bretagna (ex avversaria della causa sionista). Nel 1952 fu negoziato un accordo di riparazioni con la Germania, che accettò di pagare un risarcimento per le perdite materiali sofferte in guerra. Tale accordo ricevette anche numerose critiche all’interno della stessa Israele.
Nel 1956 vi fu la Crisi di Suez, la seconda guerra arabo-israeliana che ebbe come protagonista l’Egitto del nuovo rais Gamal Abdel Nasser. Questa guerra sarà trattata più approfonditamente nel capitolo specifico.
L’IDF continuava a difendere le città e i villaggi situati presso i confini del paese, spesso soggetti all’infiltrazione di terroristi che uccidevano i civili. Nel frattempo la Marina israeliana controllava la costa mediterranea: già nel 1945 era stata fondata la ZIM, la compagnia di gestione dei trasporti marittimi civili e commerciali; nel 1948 invece fu fondata la compagnia aerea nazionale El Al.
Al centro della vita della nuova nazione vi era una vigorosa democrazia. Il Parlamento – conosciuto come Knesset – era teatro di discussioni accese. La Corte Suprema era indipendente dal potere politico e agiva come fiero sostenitore della giustizia. I giornali erano liberi e pluralisti. In aggiunta all’Università Ebraica di Gerusalemme (la cui zona dopo la guerra di indipendenza era sotto il controllo giordano) nuove università furono fondate in tutto il paese. Grande rilevanza ebbe lo sviluppo economico del paese, soprattutto nell’agricoltura, nonostante il clima talvolta poco favorevole. La lingua ebraica, che già aveva cominciato a diffondersi nei primi anni di colonizzazione sionista, funse da elemento unificante per i nuovi immigrati.
Archeologi, condotti dall’ex Capo di Stato Maggiore Yigael Yadin, esplorarono i luoghi antichi del passato, effettuando ricerche in luoghi come Megiddo (la biblica Armageddon) e Masada, il luogo in cui si trovava l’ultima roccaforte degli ebrei zeloti contro l’Impero Romano duemila anni prima.
Nel 1961 uno dei principali responsabili della Shoah, Adolf Eichmann, un ex colonnello delle SS naziste, fu catturato dagli agenti del servizio segreto israeliano del Mossad in Argentina e trasportato in Israele per essere processato. Giudicato colpevole sulla base delle numerose prove a suo sfavore, fu impiccato nel giugno del 1962: fu l’unica volta che la pena di morte fu sentenziata e messa in atto da una corte israeliana nella storia del paese.
Durante il processo ad Eichmann l’intera nazione fu colpita dalle testimonianze che davano evidenza alle atrocità della Shoah. Vi furono anche testimonianze di non ebrei che avevano rischiato le loro vite per salvare gli ebrei. Questi “Giusti tra le Nazioni” negli anni furono portati in Israele e furono onorati per ciò che avevano fatto.