Sin quando la Guerra d’Indipendenza stava volgendo al termine la pressione della crescente immigrazione aumentava. Nei paesi arabi musulmani, intere comunità ebraiche secolari – alcune risalenti persino a prima della nascita di Maometto – furono prese d’assedio. Con la nascita dello Stato di Israele queste genti avevano finalmente un luogo in cui andare, che le avrebbe accolte e che avrebbe dato loro la cittadinanza; così lasciarono le loro case.
All’interno di Israele già erano presenti ebrei emigrati dalle terre arabe nei precedenti cento anni: essi componevano delle comunità, ma non avevano le possibilità di assorbire centinaia di migliaia di nuovi arrivati. Questo onere ricadde sul nuovo Stato, che ancora cercava di riprendersi dalle devastazioni di più di un anno e mezzo di conflitto armato.
La parte più consistente degli immigrati dagli Stati arabi, composta da circa 200 mila persone in tutto, proveniva dal Marocco; il secondo gruppo in ordine di grandezza, di 129.290 persone, dall’Iraq. Arrivarono anche molte persone da Tunisia (56 mila), Yemen (50 mila), Libia (35 mila), Egitto (29 mila) e Algeria (14 mila). Gruppi più piccoli di gente arrivarono dal Libano (6 mila persone) e dalla Siria (4.500).
Gli ebrei dello Yemen, i cui antenati avevano vissuto nelle lande meridionali del paese per duemila anni, provenivano da comunità poverissime. Furono portati in Israele con l’aereo, in un’operazione denominata Tappeto Volante. Molti di loro non avevano mai visto un aeroplano prima di allora. Vi fu in seguito anche l’Operazione Salomone, che evacuò dall’Etiopia i cosiddetti Falascià (gli ebrei etiopi).
Lo Stato di Israele incontrò enormi problemi nell’accogliere questa massa di circa 580 mila rifugiati provenienti dai paesi arabi, che raddoppiarono la popolazione del paese. Molti di questi non avevano portato quasi nulla e non avevano molte risorse su cui fare affidamento: avevano lasciato alle spalle le loro abitazioni, i loro negozi e le loro attività lavorative. Inizialmente furono sistemati in tendopoli che in seguito furono sostituite da capanne di legno.
Un membro del governo israeliano, Golda Meir, nata in Russia e immigrata in Palestina nel 1921 dagli Stati Uniti, vi fece ritorno per raccogliere fondi dagli ebrei d’America. Grazie al suo lavoro furono costruiti edifici e nuove città, talune anche nei pressi di zone desertiche, per i nuovi arrivati.
Gli ebrei provenienti dalle terre arabe incontrarono grosse difficoltà nell’essere accettati come parte integrante dello Stato ebraico: molti si sentivano trattati come cittadini di serie B. Molti divennero manovali. Lentamente le opportunità, l’educazione e l’effetto del servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini, portarono una maggiore integrazione.
Mentre Israele fronteggiava l’onere dell’afflusso degli ebrei fuggiti dai paesi arabi integrandoli lentamente nella società, gli Stati arabi non facevano altrettanto con i profughi arabi della Palestina. L’esito del primo conflitto arabo-israeliano fu per questi ultimi devastante: ben 750 mila arabi dei circa 1.500.000 insediati in Israele fuggirono negli Stati arabi limitrofi, ammassandosi in enormi campi profughi, insediati soprattutto in Giordania, Libano, Siria e nella Striscia di Gaza; ai circa 690 mila arabi che non emigrarono fu offerta dallo Stato ebraico la cittadinanza israeliana.
Per i dirigenti d’Israele (Ben Gurion era il presidente del governo e Chaim Weizmann fu eletto nel 1949 presidente della Repubblica) l’esodo di centinaia di migliaia di arabi palestinesi verso i paesi vicini era in un certo senso vantaggioso, in quanto consentiva di mantenere e consolidare allo Stato il carattere ebraico, rafforzato dall’immigrazione di intere comunità ebraiche, non solo dai paesi arabi ostili di cui abbiamo parlato, ma anche dal resto del mondo, in particolare dall’Europa post bellica.
Mentre Israele era impegnato nello sforzo di accogliere e di integrare le ondate di immigrati ebrei, la vita dei profughi arabi palestinesi nei campi disseminati nei vari paesi limitrofi era assai difficile e grama, anche perché, nonostante la sempre ribadita fratellanza araba, i paesi costretti ad ospitarli non li trattavano con particolari riguardi, anzi li consideravano un peso assai grave per l’economia, e un pericolo per la sicurezza interna. Nel 1949 l’ONU tentò di affrontare la questione creando un’apposita agenzia per loro, l’UNRWA (“United Nation Relief and Work Agency”, cioè “Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e il lavoro”); questa agenzia è attiva ancora ai giorni nostri, così come ancora oggi si protrae la questione dei profughi palestinesi del 1948, i cui discendenti non sono a tutt’oggi stati integrati nei paesi che li hanno ospitati.
I motivi della fuga araba da Israele sono ancora oggi uno dei temi più dibattuti e complessi della storiografia mediorientale: pur non essendoci mai stato un ordine specifico di espulsione da parte della dirigenza israeliana, in gran parte l’esodo è comunque riconducibile direttamente alle operazioni militari dell’IDF e dei vari gruppi militari ebraici indipendenti; ma in molti altri casi la popolazione fu spinta alla fuga dagli stessi dirigenti arabi locali. L’argomento, data la sua complessità, sarà approfondito più dettagliatamente in una sezione specifica.