Le nuove conquiste ottenute con la vittoria nella guerra dei Sei Giorni ampliarono di quattro volte il territorio israeliano, ma crearono altresì nuovi problemi; un’ulteriore ondata di arabi palestinesi in fuga si precipitò ad affollare i campi profughi dei paesi arabi. Abbattuto per questa nuova sconfitta, Nasser offrì le proprie dimissioni, ma venne supplicato a furor di popolo di rimanere alla presidenza; da quel momento però la sua stella tramontò definitivamente e con essa la leadership assunta dall’Egitto in Medioriente. Nel 1970, del resto, Nasser sarebbe morto di infarto, e gli sarebbe succeduto Anwar al-Sadat.
Dopo la guerra dei Sei Giorni i paesi arabi, sconvolti per la presunta invincibilità di Israele, reagirono irrigidendosi nel rifiuto di qualsiasi compromesso con il “nemico sionista”, e i loro rappresentanti, riuniti dal 29 agosto al 3 settembre del ‘67 a Khartum in Sudan, si pronunciarono unanimi per quattro solenni negazioni: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no al negoziato con Israele, nessuna rinuncia ai diritti degli arabi palestinesi, considerati un popolo a se stante usurpato della propria terra.
Così, quando il 22 novembre successivo le Nazioni Unite votarono la risoluzione n. 242 – che intimava a Israele di ritirarsi dai territori occupati e ribadiva il diritto alla sovranità e alla sicurezza di tutti gli Stati della regione, dunque anche di Israele stesso – quest’ultimo, in virtù di no arabi, rispose rifiutandosi di restituire i territori conquistati (contrariamente a quanto era accaduto nel 1956, che non era bastato a garantire una pace duratura). Circa la sorte di quei territori si aprì una polemica interna del tutto nuova, vertente sul dilemma: definitiva annessione o restituzione in cambio di una pace duratura.
Anche a prescindere con i rapporti con i paesi arabi e con la comunità internazionale, la scelta non era facile: se tutti quei territori fossero stati annessi completamente, sarebbe stata in pericolo la natura ebraica della stessa repubblica di Israele, dato che i palestinesi inglobati entro i nuovi confini avevano un tasso annuale di crescita demografica tre volte superiore agli ebrei; se invece i territori fossero stati restituiti e si fossero ripristinati i confini esistenti prima della guerra, Israele stesso sarebbe rimasto di nuovo esposto agli attacchi e facilmente vulnerabile. Fermamente contrari alla restituzione erano i militanti nei partiti religiosi ultraortodossi, che vedevano nelle conquiste clamorose del ‘67 la mano stessa di D-o: e proprio negli ambienti religiosi di più accentuata ispirazione biblica si diffuse poi, negli anni ‘70, sul presupposto della definitiva annessione, il movimento di colonizzazione ebraica dei territori conquistati.
Nonostante tutto ciò, l’occupazione della Cisgiordania (West Bank) ebbe anche alcuni effetti positivi: Israele ne incoraggiò lo sviluppo economico e la disoccupazione si ridusse dal 12% – il livello in cui si trovava sotto l’occupazione giordana – al 3%. Inoltre furono stabilite tre università arabe palestinesi.
Dopo la guerra del ‘67 l’OLP, che era stata fondata nel ‘65 al Cairo e che aveva la base in Giordania, iniziò ad effettuare atti di terrorismo contro gli israeliani residenti nella Striscia di Gaza: uccisero anche oltre 1000 arabi che avevano rifiutato i quattro no arabi. Ben 47 civili israeliani rimasero uccisi e oltre 300 furono i feriti nel 1968. Nelle azioni antiterrorismo furono uccisi 234 soldati israeliani, più di un quarto del totale delle perdite subite nella guerra dei Sei Giorni.
La vittoria non aveva portato pace nemmeno nel campo di battaglia. Nell’ottobre 1968 l’artiglieria egiziana aprì il fuoco sulle postazioni israeliane stanziate nel Canale di Suez. Questi attacchi proseguirono per circa due anni, a cui l’IDF rispondeva con ripetuti contrattacchi e raid aerei. La cosiddetta Guerra d’Attrito, come fu chiamata, costò la vita a più di 200 soldati israeliani, prima che l’Egitto accettasse il cessate il fuoco nell’agosto 1970.
Dopo la guerra dei Sei Giorni un accesissimo dibattito si aprì anche in seno all’OLP, soprattutto da quando, nel 1969, ne divenne presidente Yasser Arafat, già leader di Al Fatah (“La Vittoria”), cioè di una delle formazioni militanti palestinesi più agguerrite. Sotto la sua presidenza, infatti, l’OLP decise di sganciarsi dalla tutela politica egiziana, di non affidare più le sorti della causa palestinese alla sola fortuna degli eserciti arabi e di inaugurare la stagione della guerriglia all’interno dei territori occupati, al fine di distruggere Israele e di creare sul suo territorio uno Stato palestinese. Dopo la guerra del ‘67, in altre parole, gli arabi palestinesi si resero conto di doversi assumere direttamente la tutela della propria causa per poterla imporre all’attenzione della comunità internazionale.
L’OLP fu duramente repressa nel sangue dallo stesso Re Hussein di Giordania nel 1970 in seguito al tentativo da parte di alcuni gruppi armati palestinesi di rovesciare la monarchia. A quell’episodio, che fu chiamato Settembre Nero, seguì la fuga dei gruppi armati e della leadership dell’OLP – seguiti da migliaia di profughi – che spostarono il loro quartier generale in Siria e soprattutto in Libano: e questo trasferimento, come vedremo in seguito, compromise gravemente la stabilità di quel piccolo paese.
Per conseguire i propri fini contro Israele, l’OLP scelse innanzitutto l’arma del terrorismo. Già nel ‘68 un aereo della compagnia di bandiera israeliana El Al fu attaccato all’aeroporto di Atene da un commando di feddayin (“coloro che si sacrificano”) palestinesi. Nel 1970 esplose in volo un aereo della Swiss Air. Nel 1972 a Lod, aeroporto di Tel Aviv, i passeggeri di un volo Air France vennero invece massacrati da terroristi dell’Armata Rossa Giapponese, con cui furono appurati collegamenti con i palestinesi. Ma l’attentato più clamoroso avvenne il 5 settembre del 1972: undici atleti israeliani impegnati alle Olimpiadi di Monaco furono prima sequestrati e poi uccisi. Il gruppo che rivendicò l’azione si faceva chiamare Settembre Nero, con riferimento all’episodio avvenuto due anni prima in Giordania. In seguito alla strage di Monaco le forze israeliane colpirono le basi dell’organizzazione palestinese situate in Siria e in Libano, uccidendo gli autori del massacro.
All’interno di Israele, nonostante tutto, la vita della giovane nazione proseguiva, per quanto possibile, normalmente. Il movimento dei Kibbutz innovò le tecniche agricole rendendo il paese un esportatore di frutta, verdura e fiori. Le università producevano scienziati riconosciuti in tutto il mondo e le ricerche nel campo della medicina si svilupparono in molti ospedali. La letteratura, le arti e la musica fiorirono: Avigdor Arikha, che era rimasto gravemente ferito nella Battaglia di Latrun, divenne uno dei principali artisti israeliani. Amos Oz emerse come scrittore sensibile e provocatorio.