Per i primi 19 anni dopo la sua indipendenza, la capitale di Israele, Gerusalemme, era una città divisa. Lungo la linea armistiziale del 1949 si trovavano barriere e filo spinato per delimitare concretamente il confine. L’intera Città Vecchia, incluso il quartiere ebraico con le sue sinagoghe e il Kotel (ciò che resta dell’antico Tempio di Gerusalemme, detto anche Muro Occidentale o Muro del Pianto), erano sotto il controllo giordano. Agli israeliani era vietato l’accesso a questa zona, le cui sinagoghe erano state ridotte in macerie. Agli israeliani era vietato anche visitare e usufruire del cimitero ebraico situato sul Monte degli Ulivi. Inoltre, l’unica via di passaggio tra la parte orientale ed occidentale della città, la Porta di Mandelbaum, era chiusa agli israeliani.
Quando la guerra dei Sei Giorni ebbe inizio nel giugno 1967, il giovane sovrano della Giordania, Re Hussein, fu persuaso dal presidente Nasser ad unirsi all’attacco contro Israele. Gli israeliani, che erano riusciti ad intercettare la conversazione telefonica tra i due leader arabi, avvisarono il sovrano di non intromettersi nel conflitto. Anche se l’artiglieria giordana aveva effettuato un intenso bombardamento su Gerusalemme Ovest, le autorità israeliane promisero che non avrebbero risposto al fuoco se l’attacco fosse cessato e se la Giordania fosse rimasta neutrale. Re Hussein respinse la proposta e il bombardamento proseguì. Tra i numerosi edifici colpiti vi era anche la stessa Knesset, il parlamento israeliano: i suoi membri tuttavia continuarono il loro lavoro in un altro edificio più sicuro.
Nel primo pomeriggio della guerra, le truppe dell’IDF occuparono quella che in precedenza era la Casa del Governo Britannico, affacciata su Gerusalemme Est da sud, e superarono le posizioni fortificate giordane attraverso quel passaggio. Uzi Narkiss, il generale che dirigeva il Commando Centrale, ordinò che la bandiera israeliana venisse issata sopra la Casa del Governo. Quella stessa notte il Rabbino Capo dell’esercito, il generale Shlomo Goren disse a Narkiss: “I tuoi uomini stanno facendo la storia. Ciò che sta accadendo sul fronte del Sinai è nulla in confronto a questo”. Narkiss disse a Goren di “preparare la sua tromba” – alludendo allo Shofàr, tipico corno ebraico – per celebrare la vittoria.
Determinate a non danneggiare la Città Vecchia, le forze israeliane provarono a circondare Gerusalemme Est dal nord. Fu uno scontro durissimo, combattuto su quella che oggi viene chiamata la Collina delle Munizioni (Tachmòshet). La mattina del 7 giugno fu presa la decisione di entrare nella Città Vecchia e di avanzare verso il Muro Occidentale. Il passaggio scelto per l’ingresso fu la Porta dei Leoni – conosciuta dai cristiani come Porta di Santo Stefano – situata nella parte orientale della città.
Nel raggiungere l’ingresso furono conquistati il Monte degli Ulivi e la Valle Kidron che si trovava sulla strada per raggiungere la Porta dei Leoni. Inoltre tornarono sotto il controllo israeliano l’Università Ebraica e l’Hadassah Hospital. Nel tardo pomeriggio del 7 giugno le forze dell’IDF penetrarono nella Città vecchia. In una sola ora raggiunsero il Muro Occidentale. Il Generale Rabin, capo di Stato Maggiore, accorse a Gerusalemme da Tel Aviv. Quando raggiunse il Muro qualche tempo dopo scrisse: “Ero senza fiato. Sembrava che tutte le lacrime accumulate in secoli stessero cercando di uscire da tutta quella gente che stava affollando quel vicolo stretto”.
Gerusalemme fu riunificata sotto il controllo israeliano. Il Quartiere ebraico della Città Vecchia doveva essere ricostruito e i quartieri arabi cristiani e musulmani dovevano essere rimes si a nuovo a causa della trascuratezza della Giordania nell’amministrare quelle zone. Ma al momento della celebrazione, quando il rabbino Goren iniziò a suonare lo Shofar, gli israeliani sentivano che il loro Stato era, finalmente, completo.