“Der Judenstaat”: lo Stato ebraico

Nel 1896 Herzl pubblicò Der Judenstaat (“lo Stato ebraico”), che può essere considerato in un certo senso il manifesto del Sionismo. Potete consultare l’opera integrale, tradotta in italiano, sul sito Torah.it, raggiungibile cliccando sui seguenti collegamenti esterni.

Di seguito potete leggere l’estratto della prima parte dell’opera (“parte generale”). Herzl spiega i motivi che lo spingono a pensare che l’antisemitismo sia una questione non risolvibile senza la fondazione di uno Stato specificamente per gli ebrei; propone due territori sui quali si potrebbe creare tale Stato (Argentina o Palestina); infine spiega le modalità di realizzazione di tale ambizioso progetto. E’ consigliata la lettura dell’opera integrale per un più chiaro quadro delle idee di Herzl.

Il problema ebraico
La misera condizione degli ebrei nessuno la disconoscerà. In tutti i paesi dove essi vivono in numero considerevole, vengono più o meno perseguitati. L'uguaglianza dei diritti è quasi dappertutto effettivamente abolita ai loro danni, anche se esiste nella legge. Già le cariche di una qualche importanza nell'esercito, negli uffici pubblici e privati, son per loro inaccessibili. Si tenta di cacciarli dal movimento commerciale: "Non comprate da Ebrei".
 
Gli attacchi nei parlamenti, nei comizi, nella stampa, dai pulpiti delle chiese, per la strada, in viaggio - esclusione da certi alberghi - e perfino nei luoghi di divertimento, crescono di giorno in giorno. Le persecuzioni hanno diverso carattere secondo i paesi ed i ceti sociali. In Russia si taglieggiano i villaggi degli Ebrei, in Rumenia si accoppa un paio di uomini, in Germania, se se ne offre il destro, si bastonano, in Austria gli antisemiti terrorizzano tutta la vita pubblica, in Algeria compaiono dei predicatori ambulanti che aizzano contro gli Ebrei, a Parigi la cosiddetta miglior società si ritira e i circoli si chiudono di fronte ad essi. Le sfumature non si contano. Del resto qui non si deve tentare una patetica enumerazione di tutte le pene ebraiche; non ci vogliamo indugiare su particolari, per quanto dolorosi essi siano. 
Non mi propongo d'invocare per noi un sentimento di commozione: tutto ciò è vano, inutile e poco dignitoso. Mi limito a domandare agli Ebrei se non sia vero che nei luoghi, dove vivono in numero considerevole, la posizione degli avvocati, dei medici, dei tecnici, degli insegnanti e degli impiegati d'ogni specie, Ebrei, diviene sempre più insostenibile; se non sia vero che tutto il nostro ceto medio ebraico è seriamente minacciato; se non sia vero che contro i nostri ricchi vengono aizzate tutte le passioni della plebaglia; se non sia vero che i nostri poveri soffrono molto più duramente di qualsiasi altro proletariato. 
Credo che l'oppressione esista dappertutto. Negli strati ebraici economicamente superiori essa produce un disagio; negli strati medi c'è un affanno grave, cupo; in quelli inferiori la nuda disperazione. 
E' un fatto che si finisce dappertutto nella stessa musica, la quale può riassumersi nel classico grido berlinese: Fuori gli Ebrei! 
Ora io enuncerò il problema ebraico nella sua forma più concisa: dobbiamo ormai andarcene "fuori"? e dove? 
Oppure possiamo ancora restare? e quanto? Sbrighiamo per prima cosa la questione del restare. Possiamo noi sperare in tempi migliori, armarci di pazienza, e attendere, rassegnati in Dio, che i principi e i popoli della terra siano venuti a più benigne  disposizioni a nostro riguardo? Io dico che non possiamo aspettarci alcuna improvvisa deviazione della corrente. Perché? I principi - anche quelli ai quali noi stiamo altrettanto a cuore quanto gli altri cittadini - non possono difenderci: attirerebbero sopra la loro persona l'odio di cui son oggetto gli ebrei, se mostrassero troppa benevolenza verso di questi. E sotto la parola "troppa" si ha da intendere meno di quella che pretende ogni comun cittadino od ogni razza. 
I popoli fra i quali abitano gli Ebrei, sono tutti quanti, velatamente o no, antisemiti. 
Il volgo non ha alcuna intelligenza storica, né può averne: non sa che le colpe del medioevo ridondano addosso sui popoli europei. Noi siamo ciò che di noi si è fatto nei ghetti. Abbiamo indubbiamente conseguita una superiorità nella negoziazione del denaro perché ad essa siamo stati spinti nell'età di mezzo. Si ripete adesso il medesimo fenomeno: ci si sospinge di nuovo al negozio di denaro, che oggi si chiama Borsa, precludendoci tutti gli altri cespiti di guadagno; siamo nella Borsa, ed ecco che questo diviene una nuova fonte di disprezzo verso di noi. Con ciò noi produciamo senza posa intelligenze medie, che non trovano alcuno sfogo e costituiscono pertanto un pericolo sociale simile a quello dei patrimoni che aumentano. Gli Ebrei colti nullatenenti cadono adesso in braccio al socialismo. La battaglia sociale dovrebbe dunque in ogni caso esser combattuta a spese nostre, poiché così nel campo capitalistico, come nel socialistico, stiamo nei punti più esposti. 

Tentativi di soluzione sin qui fatti

I mezzi artificiali, che si sono finora impiegati per rimediare alla misera condizione degli Ebrei, furono o troppo gretti - come le diverse colonizzazioni - o stortamente ideati, come i tentativi per far degli Ebrei dei contadini nella lor patria attuale.
 
Che cosa si è fatto, invero, portando un par di mila Ebrei in un'altra regione O prosperano, e allora nasce, insieme al loro patrimonio, l'antisemitismo - oppure vanno subito in ruina. Dei tentativi sin qui fatti, di trasferire i poveri Ebrei in altri paesi, ci siamo già occupati innanzi. Il trasferimento è in ogni caso insufficiente e senza scopo, se non precisamente contrario allo scopo: la soluzione viene per esso soltanto aggiornata, strascicata e forse perfino intralciata. 
Ma chi degli Ebrei vuol fare tanti agricoltori, è preso in un errore ben strano; poiché il contadino è una categoria storica, e ciò si riconosce benissimo dal suo modo di vestire, che nella maggior parte dei paesi è vecchio di secoli, come pure da' suoi utensili, che sono esattamente dell'età patriarcale. Il suo aratro è ancora tal quale, ed egli semina dal grembiale, miete con la falce e trebbia col coreggiato. Ma noi sappiamo che adesso per tutto ciò vi sono delle macchine; l'America deve riportar vittoria sull'Europa allo stesso modo che il latifondo estirpa il piccolo possesso. 
Il contadino è adunque una figura che si può metter tra quelle che vanno a scomparire; se lo si conserva artificialmente, ciò avviene in grazia degl'interessi politici a cui deve servire. Il voler fare dei nuovi contadini secondo l'antica ricetta è un'impresa assurda e folle: nessuno è abbastanza ricco o potente per far camminare a ritroso la civiltà con la violenza; già il mentenimento di uno stato di civiltà antiquato è un tremendo compito, pel quale a mala pena bastano i mezzi coattivi anche di uno Stato retto autocraticamente. 
Si vorrebbe pertanto pretender dall'Ebreo, che è intelligente, ch'egli diventi un contadino dell'antico stampo? Ciò sarebbe precisamente come se gli si dicesse: "Eccoti una balestra, va' alla guerra!" Come? con una balestra, mentre gli altri hanno armi di piccolo calibro e cannoni Krupp? Gli Ebrei, che si vorrebbero incontadinire, hanno pienamente ragione di se, in tali circostanze, non si muovono dal loro posto. La balestra è una bell'arma e mi dà un'ispirazione elegiaca, quando ho tempo. Ma appartiene al museo. 
Ora, vi sono senza dubbio regioni, dove gli Ebrei, in preda alla disperazione, si danno perfino alla coltivazione della terra, o vorrebbero darvisi; e allora si verifica il fatto che questi punti - come l'Assia in Germania e diverse province della Russia - sono i principali focolai dell'antisemitismo.
Poiché i filantropi che mandano l'Ebreo ad arare, dimenticano un'importantissima persona, che ha molto, ma molto diritto di metter bocca. E questa è il contadino. Anche il contadino ha ragione da vendere. Le tasse fondiarie, i rischi del raccolto, l'oppressione dei grossi possidenti, che lavorano più a buon mercato, e specialmente la concorrenza americana gli rendono la vita abbastanza amara. Inoltre i dazi sul grano non possono crescere all'infinito. Non si può in fondo lasciar morir di fame neppure l'operaio industriale; anzi, siccome la sua influenza è in ascesa, si deve usargli sempre maggiori riguardi. 
Tutte queste difficoltà sono ben note, e le ricordo perciò solo fuggevolmente. Volevo soltanto accennare quanto destituiti di valore furono i tentativi di soluzione fatti sin qui con intenti ben determinati e, nella maggior parte dei casi, anche lodevoli. Né il trapiantamento, né l'artificiale depressione del livello spirituale posson servire a nulla; del miracoloso sistema dell'assimilazione abbiam già detto1. 
Con simili mezzi non si può vincere l'antisemitismo: esso non può esser rimosso fin tanto che non sian rimosse le sue cause. Ma queste sono removibili? 

Cause dell'antisemitismo
Noi parliamo adesso non più delle ragioni sentimentali, dei vecchi pregiudizi e delle vecchie gretterie, ma delle ragioni politiche ed economiche. Il nostro antisemitismo odierno non può esser scambiato con l'odio nutrito contro gli Ebrei per motivi religiosi nei tempi anteriori, sebbene cotest'odio in certi paesi assuma anche presentemente un colorito confessionale. La grande molla del movimento ostile agli Ebrei è oggi un'altra: nei paesi in cui l'antisemitismo principale risiede, esso è una conseguenza dell'emancipazione ebraica. Quando i popoli civili scorsero l'inumanità delle leggi d'eccezione e ci restituirono la libertà, la liberazione venne troppo tardi: noi non eravamo più legalmente emancipabili nei luoghi ove avevamo fin allora dimorato. Ci eravamo evoluti nel ghetto in modo strano, fino a diventare un popolo di ceto medio, e ne uscimmo per essere una temibile concorrenza al ceto medio. Così ci trovammo improvvisamente, dopo l'emancipazione, nella cerchia della borghesia e quivi abbiamo da sostenere una doppia pressione, dal di contro e dal di fuori. La borghesia Cristiana non sarebbe invero del tutto aliena dal sacrificarci al socialismo; senonché questo gioverebbe a poco.
 
Tuttavia, dove per gli Ebrei esiste, nella legge, il pareggiamento dei diritti, non si può più abolire; non solamente perché sarebbe contrario alla coscienza moderna, ma anche perché farebbe schierare immediatamente tutti gli Ebrei, poveri e ricchi, dal lato dei partiti sovversivi. 
A dir vero, non si può far niente di efficace contro di noi. Una volta si portavan via agli Ebrei i lori gioielli; ma come si potrebbe agguantar oggi il loro patrimonio liquido? Esso se ne sta al sicuro in pezzetti di carta stampati, che sono chiusi in qualche parte del mondo, forse in casseforti cristiane. Ora, si può senza dubbio colpire con tasse le azioni e le obbligazioni di ferrovie, di banche, d'imprese industriali d'ogni genere, e, dove esiste la tassa di ricchezza mobile, si può anche metter le mani sull'intero complesso del patrimonio liquido: ma tutti i tentativi di questa specie non possono essere diretti contro i soli Ebrei, e dove si volesse tentare qualcosa di simile, si sperimenterebbero tosto delle gravi crisi economiche, le quali non si limiterebbero davvero agli Ebrei che vengon colpiti per primi. Per quest'impossibilità di attaccare gli Ebrei non fa che rafforzarsi ed inasprirsi l'odio. Nelle popolazioni l'antisemitismo cresce giorno per giorno, ora per ora, e deve ancora crescere poiché le cause perdurano e non si posson rimuovere. La causa remota è lo smarrimento della nostra facoltà di assimilarci, sopraggiunto nel medioevo; la causa prossima è la nostra superproduzione d'intelligenze medie che non hanno né un deflusso verso il basso, né uno sfogo verso l'alto, cioè nessun sano deflusso e nessun sano innalzamento: verso il basso diveniamo proletari, sovversivi, costituendo i sottufficiali d'ogni partito rivoluzionario; e contemporaneamente cresce verso l'alto la nostra terribile potenza finanziaria. 

Effetti dell'antisemitismo
L'oppressione, esercitata ai nostri danni, non ci rende migliori. Noi non siamo diversi dagli altri uomini: non amiamo i nostri nemici, è verissimo. Ma sol chi è capace di vincer se stesso, potrà farcene un carico. L'oppressione produce in noi naturalmente un'animosità contro i nostri oppressori; e quest'animosità fa crescere a sua volta l'oppressione. E' impossibile uscire da questo circolo vizioso.
 
"Eppure!" diranno certi teneri sognatori "eppure è possibile! E precisamente col ricondurre gli uomini alla bontà." 
Ho proprio bisogno di venir qui a provare che razza di baggianata sentimentale è questa? Chi volesse fondare un miglioramento delle condizioni sulla bontà di tutti gli uomini, costui scriverebbe veramente un'utopia! 
Ho già parlato della nostra "assimilazione". Non dico affatto di desiderarla. La personalità del nostro popolo è storicamente troppo gloriosa e, malgrado tutte le umiliazioni, troppo alta perché se ne abbia a desiderare la scomparsa. Ma forse noi potremmo sperderci dovunque nei popoli che ci circondano, senza che restasse traccia di noi, se ci si lasciasse in pace per due generazioni. Non ci si lascerà in pace. Dopo brevi periodi di tolleranza si ridesta sempre di nuovo l'animosità contro di noi; il nostro benessere sembra contenere qualcosa d'irritante, essendo il mondo abituato da molti secoli a vedere in noi i più spregevoli fra i povero. Inoltre non si osserva, per ignoranza o per grettezza d'animo, che il nostro benessere c'indebolisce, come Ebrei, e cancella le nostre peculiarità; soltanto l'oppressione di chi ci risospinge alla nostra stirpe, soltanto l'odio di quei che ci circondano ci rende nuovamente stranieri. 
Così noi siamo e rimaniamo, volenti o nolenti, un gruppo storico composto di membri che manifestamente appartengono a una stessa famiglia. 
Noi siamo un popolo: tal fa di noi il nemico senza che noi lo vogliamo, com'è sempre accaduto nella storia. Nei periodi di sgomento siamo compatti, e allora scopriamo improvvisamente la nostra forza. Sì, noi abbiamo la forza di costruire uno Stato, anzi uno Stato modello: abbiamo tutti i mezzi, uomini e cose, che a tal fine occorrono. 
Qui sarebbe già propriamente il luogo di parlare del nostro "materiale umano", come si dice con espressione un po' ruvida; ma devono esser prima note le linee generali del mio piano, al quale tutto devesi riferire. 

Il piano
Tutto il mio piano, nella sua forma essenziale, è straordinariamente semplice, e deve anch'esserlo, se l'hanno da capire tutti gli uomini.
 
Ci si dia la sovranità di un pezzo della superficie terrestre, che basti per i giusti bisogni del nostro popolo, e di tutto il resto ci occuperemo noi stessi. 
Il sorgere di una nuova sovranità non ha niente di ridicolo o d'impossibile. A un simile fatto abbiamo pure assistito a' nostri giorni, e si tratta di popoli che non sono, come noi, popoli di ceto medio, ma più poveri, incolti, e perciò più deboli. Il procurarci la sovranità è un interesse vitale per i governi dei paesi dove compare l'antisemitismo. 
Per assolvere tal compito, semplice come principio, ma complicato nella sua attuazione, vengono creati due grandi organi: la Society of Jews e la Jewish Company.
Quel che è stato preparato scientificamente e politicamente dalla Society of Jews, viene attuato in pratica dalla Jewish Company. 
La Jewish Company cura la liquidazione di tutti gl'interessi patrimoniali degli Ebrei che emigrano e organizza il movimento economico nel nuovo territorio. 
L'emigrazione degli Ebrei non dobbiamo figurarcela, come si è già detto, repentina: dovrà compiersi a poco per volta e durare decenni. Prima di tutto partiranno i più poveri, che dissoderanno il paese, costruiranno, secondo un piano prestabilito, strade, ponti e ferrovie, impianteranno telegrafi, regoleranno fiumi e si fabbricheranno da se le loro abitazioni. Il lavoro porta traffico, il traffico i mercati, i mercati attirano nuovi coloni; poiché ciascuno viene spontaneamente, a proprio rischio e pericolo. Il lavoro, che affondiamo nella terra, accresce il valore del paese: gli Ebrei si accorgeranno presto che per il loro spirito d'intraprendenza, fin qui odiato e spregiato, si è schiuso un nuovo campo duraturo. 
Se si vuol oggi gettar le basi d'una colonia, ciò non si può fare in quella guisa che mill'anni fa sarebbe stata l'unica possibile: è folle tornare ad antichi gradi di civiltà, come vorrebbero alcuni Sionisti. Se per esempio venissimo a trovarci nella condizione di dover purgare un paese dalle bestie feroci, non lo faremmo al modo dell'Europeo del quinto secolo; non usciremmo alla spicciolata contro gli orsi impugnando giavellotto e lancia, ma imposteremmo una grande e allegra caccia, sospingendo le belve in un sol luogo e gettando in mezzo ad esse una bomba di melinite.
Se volessimo tirar su degli edificii, non pianteremmo deboli costruzioni su palafitte in riva a un lago, ma costruiremmo come si fa adesso. Costruiremmo più arditamente e più signorilmente di quanto si sia mai praticato per l'innanzi, poiché abbiamo a disposizione dei mezzi che non esistevano ancora nella storia. 
Ai nostri strati più bassi, dal punto di vista economico, tengono gradatamente dietro quelli via via più alti. Coloro che adesso sono alla disperazione, vanno per primi; saranno guidati dalle nostre medie intelligenze, ovunque perseguitate, di cui abbiamo esuberante produzione.
Il problema della migrazione ebraica dev'essere sottoposto per mezzo del presente scritto, alla discussione generale. Ma ciò non significa che si voglia iniziare una votazione: con questo la causa sarebbe perduta a priori. Chi non vuol saperne, può restare. L'opinione contraria di singoli individui è indifferente. 
Chi consente, si schieri dietro la nostra bandiera e combatta per essa con la parola, con gli scritti, con l'azione. 
Gli Ebrei, che si convertono alla nostra idea dello Stato, si raccolgono attorno alla Society of Jews, Questa acquista per tal modo, di fronte ai governi, l'autorità di poter parlare e trattare a nome degli Ebrei. La Society, per esprimerci con un termine usato in un caso analogo nel diritto delle genti, viene riconosciuta come forza creatrice dello Stato. E con ciò anche lo Stato sarebbe formato. 
Se pertanto le Potenze si mostrano disposte a garantire al popolo ebraico la sovranità di un territorio neutrale, la Society tratterà circa il territorio da scegliersi. Due regioni son da prendersi in considerazione: la Palestina e l'Argentina. Notevoli tentativi di colonizzazione hanno avuto luogo in entrambi questi punti. Vero è però che furon fatti secondo il falso principio della graduale infiltrazione degli Ebrei. L'infiltrazione deve sempre finir male, poiché giunge di regola il momento in cui il governo, sotto la pressione della popolazione che si sente minacciata, proibisce l'ulteriore affluenza di Ebrei. L'emigrazione ha, conseguentemente, un senso solo quando il suo fondamento riposi sull'assicurazione della nostra sovranità. 
La Society of Jews entrerà in trattative con le autorità da cui attualmente dipende il territorio, e ciò sotto il protettorato delle Potenze europee, se a queste la cosa va a genio. Noi possiamo a coteste autorità garantire enormi vantaggi, addossarci una parte del loro debito pubblico, aprire vie di comunicazione, delle quali in fondo anche noi abbiam bisogno, e molt'altro ancora. E già pel sorgere dello Stato ebraico guadagnan pure i paesi circostanti, poiché, così in grande come in piccolo, la civiltà di un tratto di territorio innalza il valore delle contrade adiacenti. 

Palestina oppure Argentina?

Si deve preferir la Palestina o l'Argentina? La Society prenderà quel che le verrà dato e quello per cui si dichiara la pubblica opinione del popolo ebraico. La Society cercherà di assodare l'una cosa e l'altra.
 
"L'Argentina è uno dei paesi per lor natura più ricchi della terra, di gigantesca estensione, di scarsa popolazione e di clima temperato. La repubblica Argentina avrebbe il più grande interesse a cederci un pezzo di territorio: l'attuale infiltrazione degli Ebrei vi ha prodotto senza dubbio un certo malumore; si dovrebbe illuminare l'Argentina sulla diversità essenziale della nuova migrazione ebraica. 
La Palestina è la nostra patria storica, indimenticabile. Questo nome da solo sarebbe un richiamo di trascinante potenza per il popolo nostro. Se Sua Maestà il Sultano ci desse la Palestina, ci potremmo in cambio impegnare a sistemar completamente le finanze della Turchia; per l'Europa rappresenteremmo colà un pezzo del vallo contro l'Asia, copriremmo l'ufficio di avamposti della civiltà contro le barbarie; come Stato neutrale, rimarremmo in relazione con l'Europa intera, la quale dovrebbe garantire la nostra esistenza; per i luoghi santi della Cristianità si potrebbe trovare una forma di extraterritorialità garantita dal diritto internazionale: noi saremmo la guardia d'onore dei luoghi santi e risponderemmo colla nostra esistenza dell'adempimento di un simile dovere. Questa guardia d'onore sarebbe un gran simbolo per la soluzione del problema ebraico dopo diciotto secoli, colmi per noi d'ogni tribolazione. 

Necessità, strumento, traffico

Nel penultimo capitolo ho detto "La Jewish Company organizza il movimento economico del nuovo territorio."
 
Credo di dover intercalare alcune delucidazioni su questo punto. Un progetto, qual è il presente, è minacciato nelle sue fondamenta se le persone "pratiche" si pronunziano contro di esso. Ora, le persone pratiche sono bensì, di regola, degli empirici incapaci di uscire da una ristretta cerchia di vecchie idee: ma la loro ostilità ha pure importanza e può danneggiar molto una causa a' suoi inizi, almeno finché questa causa non è abbastanza forte per mandare a gambe all'aria i pratici con le loro idee marcite.
Quando giunse per l'Europa l'era delle ferrovie, ci furono dei pratici i quali dichiararono folle la costruzione di certe linee "perché in quei luoghi neppur la diligenza postale aveva abbastanza passeggeri." Non si sapeva ancora, a quel tempo, una verità che oggi ci sembra puerilmente semplice, o cioè che non i viaggiatori determinano il sorgere della ferrovia, ma, all'opposto, la ferrovia richiama i viaggiatori; con che naturalmente si presuppone l'esistenza d'una necessità latente. 
Rientrano nella categoria di simili "pratici" del periodo preferroviario quei tali che non riescono a capacitarsi come debba esser creato nel nuovo territorio, ancora da acquistarsi e ancor da coltivarsi, il movimento economico dei nuovi venuti. Un pratico dirà dunque press'a poco così: 
"Ammesso che le odierne condizioni degli Ebrei in molti luoghi siano insostenibili e debbano divenir sempre peggiori; ammesso che nasca il desiderio d'emigrare, ammesso perfino che gli Ebrei emigrino nel nuovo territorio, come e che cosa guadagneranno? Di che vivranno? Il traffico necessario a molti uomini non si può artificialmente impiantare da un giorno all'altro." 
A questo io rispondo. Dell'impianto artificiale di un traffico non è affatto il caso di parlare, e men che mai esso deve avvenir da un giorno all'altro. Ma se anche non si può impiantare questo traffico, promuover lo si può. Con quali mezzi? Per mezzo dello strumento d0una necessità. La necessità vuol essere riconosciuta, lo strumento vuol essere creato, e il traffico si produce poi da sé. 
Se il bisogno provato dagli Ebrei, di pervenire a miglior condizione, è vero, profondo; se lo strumento di questo bisogno, la Jewish Company, è sufficientemente forte, il traffico deve stabilirsi, nel nuovo territorio, in abbondanza. Ciò è riposto senza dubbio nel futuro, come nel futuro era riposto lo sviluppo del movimento ferroviario per gli uomini del milleottocentotrenta. Le ferrovie furono tuttavia costruite; per buona fortuna, i dubbi de' praticoni della diligenza son stati superati.


1 Cfr da pag. 28 del testo integrale (link esterno, da pag. 10/29 del file pdf).

Elenco delle parole chiave, dei luoghi e dei personaggi storici

1a guerra arabo-israeliana (guerra di indipendenza) (2) 2a guerra arabo-israeliana (crisi di Suez) (1) 3a guerra arabo-israeliana (guerra dei Sei Giorni) (5) 4a guerra arabo-israeliana (guerra del Kippur) (2) Aaronsohn Aaron (2) Aaronsohn Sarah (1) Abdullah I Husseini (1) Acquisti di terre (5) Adler Saul (1) Agenzia Ebraica (2) Al Fatah (1) Al-Bakr Ahmed Hassan (1) Al-Husseini Haj Amin (4) Aliyah Bet (2) All Jewish Palestine Orchestra (1) Allenby Edmund (2) Altalena (1) Alterman Natan (1) Antisemitismo (4) Approfondimenti (15) Arafat Yasser (4) Arikha Avigdor (2) Assad Hafiz (3) Assedio di Gerusalemme del 1948 (1) Attentato a Lod del 1972 (1) Attentato all'hotel King David (1) Attentato di Atene del 1968 (1) Attentato sul volo Swiss Air del 1970 (1) Attlee Clement (1) Baath (1) Balfour Arthur James (3) Banda Stern (1) Begin Menachem (7) Ben-Gurion David (9) Ben-Yehuda Eliezer (1) Ben-Zvi Yitzhak (1) Bernadotte Folke (1) Bevin Ernest (3) Bezalel School (1) Brigata Ebraica (1) Brigata Harel (1) Cailingold Esther (1) Campi di detenzione inglesi a Cipro (3) Canale di Suez (4) Carter Jimmy (1) Churchill Randolph (1) Churchill Winston (3) Cisgiordania (3) Comitati di trasferimento (1) Commissione Peel (1) Comunicazioni di servizio (1) Conferenza dei Non-Allineati di Bandung (1) Conferenza di Pace di Parigi (2) Conferenza di Pace di San Remo (1) Dayan Moshe (9) Deganya (2) Dichiarazione di Balfour (2) Documentario (4) Documenti (15) Dreyfus Alfred (2) Drusi (1) Eban Abba (1) Egitto (12) Eichmann Adolf (2) Eilat (1) EL AL (1) Erez Chaim (1) Eshkol Levi (1) Etiopia (1) Exodus (3) Falangisti maroniti (4) Farhud (1) Fascia di sicurezza a sud del Libano (1) Foley Frank (1) Fondamentalismo islamico (1) Francia (5) Franjeh Suleyman (1) Frankfurter Felix (1) Fratellanza Musulmana (1) Gemayel Bashir (3) Germania (4) Gerusalemme (6) Giordania (5) Golan (5) Gordon Aharon David (1) Goren Shlomo (1) Guerra civile del 1947 (2) Guerra civile in Libano (1975-1991) (4) Guerra civile in Yemen del 1962 (1) Guerra d'attrito (1968-1970) (1) Guerra in Libano (1982) (3) Guerra tra Iraq e Iran (1980-88) (1) Hadassah Hospital (3) Haganah (8) Haifa (2) Hamas (1) Hatem Robert (1) Hebrew University (4) Hebron (1) Herzl Theodor (4) Herzliya (1) Hezbollah (1) Histadrut (1) Hitler Adolf (3) Hobeika Ely (1) Hovevei Zion (1) Huberman Bronislaw (1) Huda Tariq Abdul (1) Hussein di Giordania (6) Hussein Saddam (2) Husseini Feisal (3) Immigrazione ebraica in Israele (2) Impero Austro-Ungarico (1) Inghilterra (10) Iran (2) Iraq (5) Irgun (5) Israel Defence Force (IDF) (8) Israele (21) Italia (1) Jabotinsky Vladimir Ze'ev (4) Jewish National Fund (JNF) (4) Jihad islamica (1) Kfar Gideon (1) Kfar Hittim (1) Khomeini Ruhollah (1) Kibbutz (3) Kissinger Henry (2) Klein Samuel (1) Knesset (1) Kollek Teddy (1) Kook Abraham Isaac (1) Lawrence d'Arabia (2) Legge del Ritorno (1) Legione Araba (2) Legione Ebraica (1) Lehi (3) Libano (7) Limitazione dell'immigrazione ebraica (2) Lingua ebraica (1) Maccabiadi (1) Magnes Judah (1) Mahal (1) Marocco (1) Maroniti (3) Marr Wilhelm (1) Meir Golda (4) Morgenthau Henry Jr (1) Morris Benny (1) Moshav (1) Mossad (2) Movimento Shalom Akhshav (1) Musulmani (1) Nachmani Yosef (1) Nahariya (1) Nakba (3) Narkiss Uzi (2) Nasser Gamal Abdel (9) Nazismo (3) Netanya (1) Nili Group (1) Nordau Max Simon (1) ONU (10) Operazione Entebbe (1) Operazione Kadesh (1) Operazione Pace in Galilea (2) Operazione Salomone (1) Operazione Tappeto Volante (2) Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) (7) Palestinesi (3) Palmach (2) Panarabismo (3) Pasha Mustafa Nahas (1) Penisola del Sinai (3) Peres Shimon (1) Prima Guerra Mondiale (5) Prima Intifada (1987) (1) Primo Congresso Sionista (4) Profughi arabi del 1948 (3) Profughi ebrei del 1948 (1) Proteste arabe per l'immigrazione ebraica (5) Quattro "no" arabi (1) Questione demografica (1) Rabin Yitzhak (9) Reggimento Palestinese (1) Repubblica Araba Unita (RAU) (2) Revisionisti (2) Reza Pahlavi Mohammed (2) Risoluzione ONU n. 181 del 1947 (2) Risoluzione ONU n. 242 del 1967 (3) Rivolta ebraica contro gli inglesi (1) Rothschild Walter (2) Rubitzov Nehemia (1) Russia (3) Sadat Anwar (4) Sadeh Yitzhak (1) Samuel Herbert (1) Sciiti (1) Seconda Guerra Mondiale (2) Senesz Hannah (1) Sereni Enzo (1) Settembre Nero (1) Settima Brigata (1) Shamir Yitzhak (2) Sharon Ariel (5) Shoah (3) Shuttle Diplomacy (1) Sionismo (24) Siria (13) Stato palestinese (1) Stern Abraham (1) Storia (22) Strage di Deir Yassin (1) Strage di Hebron (1) Strage di Monaco (1) Strage di Sabra e Chatila (2) Striscia di Gaza (2) Sunniti (1) Technion (1) Tel Aviv (1) Territori contesi (1) Terrorismo palestinese (3) The Lovers of Zion (1) Transgiordania (4) Trattative di pace tra Israele e palestinesi (1) Trattato di pace con l'Egitto del 1978 (1) Truman Harry (1) Trumpeldor Joseph (1) Turchia (4) UNRWA (1) USA (1) Ussishkin Menachem (3) Volcani Yitzhak (1) Weitz Yosef (1) Weizmann Chaim (5) Weizmann Institute (1) White Paper (1) Yadin Yigael (2) Yagur (1) Yemen (2) Yishuv (11) ZIM (1) Zion Mule Corps (1)